(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Siamo agli inizi del 2021, un anno che ci appare ancora sospeso e poco decifrabile, incerto sui tempi di uscita dalla pandemia. Ma noi non rinunciamo a “pensarlo”, sentiamo l’urgenza di ripartire per non darla vinta al coronavirus che ci ha strappato già il 2020. No! Non lo vogliamo consentire ma neppure possiamo archiviare l’anno passato con nonchalance. Alcune parole mainstream degli anni scorsi appaiono offuscate e dai contorni meno netti: il richiamo ai valori (senza praticarli), competitività, eccellenza, flessibilità, efficienza-efficacia, merito, velocità ecc ecc. Non sono parole da archiviare, ci mancherebbe: che il nostro Paese, ad esempio, non sia competitivo e che non premi il merito è un dato di realtà condiviso da molti osservatori. Ma queste parole, e altre ancora, compongono un paradigma sociale e culturale che la pandemia ha messo in gran parte in soffitta.
Se ne sono affacciate altre, da tempo trascurate e percepite come troppo buoniste o più semplicemente inutili e marginali per il progresso delle comunità: fragilità, cura, beni comuni, fraternità, solidarietà, sostenibilità, inclusione… La pandemia le ha fatte riemergere imponendole alla nostra attenzione, senza di esse non saremmo sopravvissuti, la presa di coscienza collettiva di come siano essenziali per la vita comune e per una esistenza più felice è maturata giorno dopo giorno.
Su due parole vorrei soffermarmi: (prendersi) cura e (vivere il) tempo.
La cura è ritenuta erroneamente un’attività tipicamente femminile. Uno stereotipo duro a morire, ma sappiamo che oltre i luoghi comuni essa costituisce una dimensione fondativa della nostra umanità tanto da dover essere educata sin dalla prima infanzia. Essa vive di gesti quotidiani, di attenzioni, di scelte familiari e lavorative, e perché no di scelte associative. Si può pensare alla nostra Associazione (c’è chi la pensa davvero così…) come mero contenitore di alcuni servizi più o meno convenienti e per celebrare la cena di fine anno con pochi eletti, o al contrario (io sono qui) come un progetto culturale, un luogo di impegno e di amicizia per vivere più appieno la propria esistenza nel prenderci cura reciprocamente.
Nel 2020 il tempo si è quasi contratto, la vita quotidiana si è svuotata di senso e di futuro, abbiamo vissuto alla giornata, intimoriti dalle morti di amici e conoscenti. Mi sono domandato se non fosse questo lo stato esistenziale in cui eravamo immersi senza averne contezza anche prima della pandemia. Una sorta di “bolla temporale” permanente che ci ha precluso di vivere il tempo come attesa speranzosa, come sguardo proteso verso l’orizzonte lontano che fiorisce di tutti i secondi che la vita dona a noi tutti. Un tempo dannatamente veloce ed efficiente, in realtà povero di tutto, di relazioni e di futuro.
Ad una associazione di adulti come la nostra inaspettatamente attende un compito arduo ed entusiasmante: testimoniare la bellezza del prendersi cura di tutto ciò che ci circonda e di vivere il tempo quotidiano con stupore. Pronti a ripartire amiche e amici!