(di Roberta Greco) Strumento di autocontrollo, precetto dottrinale, metodo di ascesi, richiamo alla sobrietà, veicolo di elevazione al trascendente: nel corso dei secoli tutte le grandi religioni del mondo hanno dedicato particolare attenzione al rapporto dell’uomo con il suo corpo, in particolare alla pratica del digiuno. L’astensione dal cibo assume di volta in volta significati diversi. La volta scorsa abbiamo fatto una panoramica sul digiuno cristiano ora cerchiamo di conoscere meglio i precetti del digiuno nelle altre religioni.
Gli ebrei praticano vari periodi di digiuno come espressione di espiazione dai peccati, di lutto o di supplica (come nel caso del digiuno di Ester). Il digiuno più noto e maggiormente osservato è, però, quello dello Yom Kippur, il cosiddetto Giorno dell’Espiazione che ricade il 10 del mese di Tishri, dieci giorni dopo Rosh Hashanah (Capodanno Ebraico). E’ il giorno destinato ad espiare i peccati commessi nel corso dell’anno, sia nei confronti di Dio, sia nei confronti degli uomini. E’ un digiuno completo, dal tramonto, prima del crepuscolo, alla notte seguente. Vengono prescritte anche quattro ulteriori restrizioni: non ci si può lavare il corpo, indossare scarpe di cuoio, acque di colonia, oli o profumi, o avere rapporti sessuali.
I musulmani digiunano durante il mese di Ramadan, il nono del calendario lunare e sacro, perché è il periodo in cui il profeta Mohammad ha ricevuto dall’arcangelo Gabriele la rivelazione del Corano. Il digiuno rappresenta uno dei cinque pilastri obbligatori per il fedele musulmano e consiste nell’astenersi, dall’alba al tramonto (Fajr e maghreb), dal bere, mangiare, dal fumare e dal praticare attività sessuali.