(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Abbiamo celebrato a Pietrelcina, la settimana scorsa, la Summer School alla quale ANLA è stata presente per la seconda volta. Lo spirito che ha animato gli organizzatori in questi anni è quello dei navigatori, spesso andando di “bolina”, controvento, nello studio esigente del presente per pensare al futuro, correggendo il nostro modo di guardare il Mezzogiorno, e cercando con ostinazione nuove prospettive di osservazione.
L’edizione conclusa ha seguito la medesima traccia culturale. La tesi riproposta, suffragata da elementi concreti di analisi, e che la pandemia ha posto ancor più in luce, è che l’Italia dei “margini”, o l’Italia dei “vuoti”come la chiamano alcuni studiosi – tra questi il prof. Cersosimo - oggi appaia più che mai centrale per rompere l’assedio di un presente che percepiamo sempre più sconfortante.
Siamo convinti che in questa Italia dei margini potremo sperimentare nuove economie, nuove relazioni sociali, nuove istituzioni civili come lo sono le nascenti fondazioni e cooperative di comunità. Nelle due sessioni abbiamo provato ad assumere altre “posture”, punti di vista diversi per accogliere la sfida di una Italia da riabitare (come recita il Manifesto del prof. Cersosimo), un Paese non solo affidato ai “centri”, ai “pieni” delle grandi città e delle aree metropolitane, ma anche agli spazi urbani intermedi, alle aree interne, ai borghi. Con nuove interconnessioni, nuove strutture fisiche e digitali, progetti di welfare comunitari, una manutenzione diffusa dei territori nei quali i giovani potranno cogliere opportunità inedite e progetti imprenditoriali sostenibili.
Non abbiamo mai coltivato una cultura rivendicazionista, ci siamo attenuti ai dati di realtà: siamo fermamente convinti che il Mezzogiorno sia la maggiore riserva di crescita per l’Italia, esso dispone di una gran quantità di risorse inutilizzate, in primis quelle umane, i giovani e le donne. Ma può dare un contributo prezioso solo se è messo in grado di poterlo fare, per sé e a vantaggio di tutto il Paese. L’agenda è nota a tutti noi, la conosciamo da tempo, i titoli sono retoricamente elencati in tante dichiarazioni pubbliche. Garantire i diritti di cittadinanza, costruire reti territoriali innovative di welfare e sanità, l’investimento nella istruzione pubblica per accrescere quantità e qualità degli apprendimenti lungo tutta la filiera scolastica, una mobilità sostenibile per ricucire i territori, la valorizzazione delle diversità territoriali, quelle agricole, i beni culturali, il turismo sostenibile. Per non parlare della questione demografica affrontata in altre edizioni della Summer School: nel sud la popolazione si è ridotta più che in altre parti, l’Italia si riempie da una parte e si svuota lentamente dall’altra, un fenomeno lento, non immediatamente percepibile, un po’ come lo scioglimento dei ghiacciai i cui effetti si manifestano tragicamente nel tempo. Per non parlare dello spreco dei talenti di giovani e donne, uno spreco immenso di energia lavorativa già bassa in Italia rispetto all’Europa, ancor più nel Mezzogiorno.
Una agenda conosciuta, ahimè, ma rimasta in gran parte sulla carta, una pagina bianca.
Abbiamo fatto altre scelte. Davanti a noi stanno i decenni passati, decenni nei quali l’economia della conoscenza ha dato un forte impulso alle grandi agglomerazioni urbane, le città si sono estese inglobando porzioni importanti di territori come ci raccontano i casi di Milano, Roma, e di gran parte delle capitali europee. Sono seguiti investimenti strutturali per aeroporti, alta velocità, metropolitane, ferrovie leggere, edilizia residenziale, Università, sedi di multinazionali. Non v’è dubbio che vivere nelle città offra oggi un accesso a reti di valore formali e informali, di conoscenza e saperi, di innovazioni e opportunità lavorative, inimmaginabili in altri territori. Ma è pur vero che i territori pieni hanno generato anche disuguaglianze, periferie povere, lavoro indegno, scarsa qualità ambientale.
È possibile ripensare a questo modello così evocato dal mainstream della riflessione culturale e politica odierna? Un riequilibrio, una trasformazione!
La domanda che ci poniamo, ora più stringente con la diffusione della pandemia, è se siano maturi i tempi per trasformare l’attuale articolazione territoriale dei sistemi economici, delle politiche sanitarie e di welfare, in una prospettiva di benessere diffuso e inclusivo. È una idea romantica? Un ritorno ai “bei tempi”? Oppure vi sono concrete possibilità di rianimare una Italia più rispettosa delle diversità, insomma più inclusiva, fatemi dire più bella? Non isole o localismi gretti, ma un arcipelago potentemente connesso e aperto, sostenuto da una azione collettiva ricostruttiva come recita il titolo della Summer School 2020 di Pietrelcina.
In tutto questo, sottolineo l’estrema importanza del ruolo che hanno e che avranno le Associazioni, e in particolare ANLA, con il suo bagaglio di valori e di competenze, rappresenta una risorsa che può giocare un ruolo importante nelle regioni del Mezzogiorno.